Capitolo 12

XII

Accantonata l’esperienza psico-analitica e chiuso ogni spiraglio ad una eventuale prova d’appello mi stavo illudendo che l’estenuante lotta nei confronti dei buoni samaritani fosse finita. E’ perché ho sottovalutato l’ostinazione dei seguaci della cultura salvifica. I cattolici, se scorgono un soggetto che sta male, si buttano a capofitto sull’infelice e non lo mollano più.  Hanno come priorità assoluta il compito di preservarlo dal dolore, nella convinzione che la sofferenza lo rende più vulnerabile alla tentazione. Immagino tutto il tam-tam che si è creato intorno al mio caso, le discussioni e i propositi con alla base un imperativo d’obbligo: dobbiamo fare qualcosa.

C’è poi una particolare fissazione radicata nelle persone di questo ambiente: un ragazzo della mia età non può stare senza una fidanzata.  Hanno la certezza che in tale fase della vita in cui tutti si sistemano, se per caso sei ancora single lo sarai per sempre. Una catastrofe. E corri il terribile rischio di perderti nei meandri delle relazioni fugaci e, quindi, di vivere nel disordine morale. Per questo, quando nasce anche solo una piccola scintilla tra due persone sole, ti spingono a buttarsi e provare a mettersi insieme anche se si hanno mille dubbi: al limite si rimane buoni amici…

In questo periodo la mia penitenza quotidiana è fronteggiare tutti questi buoni fratelli che si affannano, con lo stesso impegno di un’agenzia matrimoniale, ad organizzare incontri con lo scopo di mettermi con una ragazza. Sono costretto a districarmi tra diverse imboscate, come quegli inviti a cena dove, guarda caso, mi trovo ad essere in mezzo a tutte coppie e  una ragazza da sola. Ad un certo punto, con le scuse più strampalate, se la svignano tutti verso altre stanze e rimaniamo a tavola soltanto io e la tipa non accoppiata. Almeno facessero un po’ di selezione. L’ultima con cui ho dovuto intrattenermi era una convinta vegana, e fin qui nulla di male. Non è stata zitta un secondo e, mentre io mi pappavo con piacere una gustosa costina di maiale, mi incalzava aggressiva: «Ecco! Non senti in questo momento sapore di cadavere, di putrefazione?!»

Tutto questo mi ha fatto diventare assai diffidente, ma, nonostante tenga alta l’attenzione, mi sono fatto nuovamente fregare da Franco, anchè perché,   essendo a conoscenza dei suoi principi morali non  propriamente ortodossi,  non mi sarei mai aspettato che anche lui si prestasse alla causa cattolica.

Gli avevo chiesto di procurarmi gli appunti delle lezioni che avevo saltato a causa dell’influenza. Detto fatto, mi ha stilato un programma perfetto: «La Stefania! La Stefania ha sicuramente gli appunti che ti servono, l’anno scorso ha frequentato lo stesso corso. Inoltre, lei e il suo compagno Guido organizzano una festa nella loro mansarda di Piazza Solferino. Possiamo andarci insieme».

A parte il fatto che non avevo idea di chi cazzo fossero Guido e Stefania, se c’è una cosa che detesto, e gliel’ho ricordato, è quella di trovarmi in posti dove non conosco nessuno.

«Ma come sei contorto… la maggior parte di quelli che partecipano a ‘sti incontri mica si conoscono già… sono quasi tutti amici di amici. E tu sei amico mio. Hai anche il pretesto degli appunti, passi una serata in mezzo a bella gente e magari ci scappa qualcosa con la Sandra…», ha insistito strizzandomi l’occhio.

«La… la Sandra?!», ho ribattuto con una decina di punti interrogativi.

«Ma sì, una di quelle che piacciono a te: timida e un po’ fricchettona. Anche lei è single da un po’ di tempo. E, se posso dire…è pure una gran bella gnocca!».

Ho ragionato sul fatto che non avevo molte alternative per procurarmi il materiale scolastico che mi serviva.  La mia asocialità si è aggravata ulteriormente in quest’ultimo periodo e devo ammettere che non ho compagni di corso ai quali chiedere un favore. Per qualsiasi bisogno chiedo a  Franco, la cui fama  in facoltà è inversamente proporzionale alla media dei suoi voti. Non avendo scelta mi trovo costretto ad accettarei il suo diabolico piano ed ora sono davanti alla porta di questo favoloso attico progressista, con due bottiglie di Barbera bariccata e con ancora una fortissima tentazione di fuggire. Prima di decidere di suonare il campanello faccio tre respiri profondi, ma non posso fare a meno di sentire il frastuono proveniente dall’inerno, un misto di musica  e il vocio di almeno cinquanta  persone. E non posso fare a meno di pensare alla mia soglia di insofferenza che scatta in assembramenti superiori alle cinque unità.

Driiiin

Mi apre una tipa alta e bionda, immagino sia Stefania,  mi riceve e mi bacia sulla guancia. Come inizio non sarebbe male se non fosse che, da buon provinciale, rimango alquanto impacciato e balbettante,  impressionato dalla disinvoltura delle ragazze di  città. Faccio per presentarmi ma lei mi precede, come se mi conoscesse già: «Ricordami gli appunti, non appena sarò meno indaffarata». Mi ringrazia per le bottiglie e con quella malizia che solo una donna riesce ad esprimere in modo così efficace (in particolare se c’è di mezzo anche un’altra donna), aggiunge con un sorrisetto: «Franco mi ha spiegato…».

Spiegato cosa? Questa mi vede per la prima volta e si è già intrufolata nella mia vita privata. Ecco una dimostrazione dei tanti danni causati dalle trasmissioni di Maria De Filippi. Come avrei dovuto immaginare, ora mi trovo qui seduto attorno a un sacco di bella gente che non conosco e stramaledico Franco che mi ha appena inviato il messaggio “Scusa non posso venire ma ho dato tutte le istruzioni…ora tocca a te mandrillone!”. Lo sapevo.  Quanto mi sento coglione per avergli dato retta per l’ennesima volta.  E viene naturale pormi una domanda precisa: “Che cazzo ci sto a fare qua, eh?”.

Come se non bastasse, dopo neanche due minuti, m’imbatto nell’unica persona che posso dire di conoscere, Giuseppe, il quale, confermando la sua tendenza a mettere in imbarazzo il prossimo, mi chiede: «Che-cazzo-ci-fai-tu-qua?».

“Ti pare una domanda intelligente da fare? Non è che dovresti implementare la tua ram? Purtroppo non ho una risposta adeguata alla tua totale assenza di cervello”. Ho disattivato il sonoro, ma devo aver lasciato attivi i sottotitoli, perché si defila con un sorrisetto imbarazzato.

Una nota positiva della serata è non essere obbligati a sedersi a tavola per mangiare. Non si corre il rischio, ad esempio, di rimanere bloccati per due ore accanto a persone  cui non si ha niente da dire. Nei buffet, invece, nel caso si venga a contatto con qualcuno d’indesiderato, c’è sempre una via di fuga. Si può svicolare con diversi stratagemmi, ad iniziare con la macchia di salsa sulla maglia che necessita di risciacquo in bagno. Inoltre, nei buffet ci si può strafogare come e quanto si vuole senza dare troppo nell’occhio: il massimo per noi cattolici, costantemente intenti a coltivare di nascosto i piaceri della carne.

Confortato da tutti questi pensieri rassicuranti, non mi rimane altro che darmi al cibo, dò inizio ai bagordi, rimpinzandomi di sedani con il gorgonzola e rendendo onore a un fresco frizzantino bianco. A ruota, mi accingo a sferrare l’assalto ai peperoni con la bagna cauda, quando mi sorge un dubbio che mi blocca: se per caso incontrassi la Sandra e scoprissi che non gradisce l’aglio, sarei costretto a comunicare con lei tramite cenni del capo e sorrisi con la bocca rigorosamente chiusa, rischiando molto di passare per cretino. Per cui preferisco, mestamente, starne alla larga per non cadere in tentazione e cerco consolazione concentrandomi su altre portate.

Prendo atto con un certo stupore che anche negli ambienti di sinistra c’è da sgomitare quando si tratta di soddisfare lo stomaco, non si riesce a trovare un varco libero. Ho dalla mia il fatto di essere di bocca buona e ciò mi torna utile quando sento delle esclamazioni schifate da parte di un gruppo di schizzinose che arretra di fronte alla trippa in umido: non potevo chiedere di meglio. Io rinuncerei alla terzogenitura per un piatto di trippa e approfitto del disinteresse generale nei confronti di quella prelibatezza per svuotare il vassoio.

I padroni di casa sono indaffarati in cucina, ma si fiuta lontano un chilometro che hanno le palle in giostra e sono nel bel mezzo di un litigio tra fidanzati.

Nel dare un’occhiata in giro, non riesco ad individuare una ragazza che corrisponda alla descrizione della fantomatica Sandra. A questo punto, in teoria, una persona dotata d’intraprendenza dovrebbe pensare di meno al mangiare e darsi da fare. Io, invece, preferisco osservare, come quando al mare mi siedo su una panchina della passeggiata e osservo la gente. Detesto frequentare un contesto che non conosco. Per dirla tutta, reggo sempre meno gli ambienti settari, in particolare se progressisti. Con Maria riuscivo a sopportare meglio, mi riparavo dietro a lei, che in circostanze simili ci sguazzava e non ci metteva più di cinque minuti a fare amicizia anche con persone che non aveva mai visto.

Nel frastuono della musica di Bregovic sparata ad alto volume, mi si avvicina un tipo con la classica divisa d’ordinanza di rifondazione comunista: giacchetta marrone, camicia a quadri e occhiali con montatura colorata. Immagino sia cresciuto ed educato in un ambiente cattolico gestito dai gesuiti, perché, nel vedermi in disparte, ispirato dalla pietas cristiana si fa avanti per attaccare bottone. La mia accoglienza non è delle più calorose, ho il sospetto che voglia inculcarmi le teorie gramsciane abbinate agli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola. Dopo alcuni tentativi caduti nel vuoto, individuiamo nella montagna un argomento comune e mi chiede quali pareti rilevanti abbia scalato. Con la convinzione che non gliene frega molto – per la nota competizione feroce che serpeggia tra gli alpinisti – e in bocca una porzione esagerata di tortino di carciofi, abbozzo una risposta: «Uhm…diciumu …cu…uhm…», riesco finalmente a trangugiare, «…Diciamo che a parte la cresta del leone sul Cervino, ma sia ben chiaro, solo per il maltempo,  le vie più toste delle nostre parti le ho fatte tutte», la sparo grossa, sperando che non chieda particolari sulle mie improbabili imprese. Sto per raccontargli la palla della macchia di maionese sulla maglia per svignarmela, ma mi precede lo squillo del suo cellulare e si congeda tra mille scuse. Questo conferma che è proprio un cattolico e che delle mie ardite scalate non gliene importava niente.

Approfitto del varco millimetrico che si è creato davanti alla carne all’albese con scaglie di tartufo per riempirmi il piatto, mi fiondo sulla sedia lasciata libera da una trentenne dall’aria scazzata e proseguo la mia attività d’osservatore.

Faccio un giro per la casa, la televisione è monopolizzata da un gruppo di gobbi che segue una partita della Juve su Sky, invio loro una serie di gufate col pensiero, e mi fermo ad aprire e annusare alcuni libri dello scaffale del soggiorno ma, a parte l’ultimo romanzo di Mauro Corona, non trovo niente di interessante.

Tra i presenti riconosco una ragazza che ai tempi del liceo era una delle ragazze più ambite della scuola, una che se la tirava e non mi cagava nemmeno di striscio. Il tempo passa per tutti, penso, e francamente la trovo con le quotazioni tendenti al ribasso. La ricordo a una festa, aveva anche accettato di ballare un lento con me: la prima cosa che fece fu quella di spostarmi le mani che garbatamente le avevo posato sulle spalle. Scommetto che adesso si lascerebbe palpare il culo senza tante  storie.

Sedute di fianco a me, due disinvolte signorine se la contano e, confidando nella musica ad alto volume, non sembrano preoccuparsi più di tanto di proteggere la privacy.

«Mi ha chiamato la Sandra, moooolto giù di corda. Dice che non verrà, in quanto si è scocciata di Guido e Stefania. Maddai…ciàrraggione! La invitano sempre e solo per farle conoscere dei ragazzi. L’ultima volta che è venuta è stata tacchinata tutta la sera da un pesce lesso».

Chissà se è tutto vero o se questa iettatrice ci mette del proprio. Ad ogni modo, è la conclusione del discorso a farmi sobbalzare dalla sedia:

«Vuoi ridere? Si è informata sul tipo che volevano fargli conoscere: è appena stato scaricato dalla fidanzata. E la Sandra mi fa: “E io dovrei passare l’ennesima serata con un depresso che mi parlerà per due ore della sua ex?”»

Hai capito? In questo luogo c’è discrezione quanto quella presente in una puntata di “C’è posta per te”, e la Sandra, che fa pure la difficile, si era già ampiamente informata. Per intanto inizia a starmi abbastanza sulle palle. La immagino in pizzeria metterci un’ora ad ordinare una Margherita e un bicchiere di acqua minerale. Peggio per lei, non sa che stasera si è perso un pesce lesso monogamo…

Svanito l’eccitante sogno di conoscere una torinese carina e di sinistra, ma troppo diffidente, una delle signorine pettegole, dopo avermi dato un’occhiata furtiva, incomincia ad armeggiare con il telefonino. Ho lo spiacevole presentimento di intuire chi sarà la destinataria e il contenuto del messaggio che sta per inviare:“Sono sicura d‘essere vicino al tonno che non vuoi incontrare!”. Preferisco non indagare. Il mio ego, già notevolmente castigato, potrebbe subire ulteriori umiliazioni e decido di restare nell’ignoranza.

A questo punto, non ho più motivo per rinunciare a ciò che avevo stoicamente rinunciato e mi precipito a bomba a ripulire il vassoio dei peperoni in bagna cauda e per come sono andate le cose, mi piacerebbe che alla fine la Sandra si facesse viva. Mi presenterei come “il pesce lesso” e  la farei svenire con una zaffata d’aglio.

Nel frattempo, quello che sembrava uno scazzo temporaneo si trasforma in una vera e propria rissa: Guido e Stefania, dopo essersene dette di cotte e di crude – i progressisti, quando s’incazzano tra di loro, sono di una carognaggine inaudita, altro che politically correct :  vanno giù pesante con gli insulti, sottolineano le differenze culturali e di classe sociale, infieriscono senza risparmiare i riferimenti alla razza, al sesso e ai difetti fisici… – iniziano a tirarsi addosso mestolate di gamberetti in salsa aurora, fino al momento in cui Guido, decisamente in svantaggio, si barrica nello studio in lacrime.

Ormai non mi ci vuole molto a capire l’aria che tira in questo salottino di fighetti illuminati: una mano perfida ha abbassato il volume dello  stereo, in modo da poter gustare meglio la scena, mentre numerosi presenti commentano a bassa voce per non perdersi alcuna battuta.  I gobbi hanno addirittura smesso di seguire la partita, nonostante la Juve stia battendo l’Inter. Sono sicuro che la maggior parte del popolo qui riunito, donne in testa, sta pensando che non esistono più maschi con le palle. Intanto, Stefania, incazzata nera, apre energicamente la porta del soggiorno ed esce sul terrazzo a fumare, mentre io seguito a spazzolare le acciughe al verde per compensare la delusione di non poter più gustare i gamberetti, finiti tutti sulla testa di Guido e non recuperabili per via della sua vistosa forfora. Da buon cattolico dovrei vergognarmi di non riuscire a dominare il mio lato perverso, ma confesso che provo soddisfazione pensando alla new-entry nel mercato delle ragazze single. Non che mi stia facendo delle idee strane su Stefania, per carità, ma un posto libero in più, per una mera questione numerica, mi può sempre tornare utile…

Allo stesso tempo mi assale la preoccupazione di raggiungere almeno il secondo e, in teoria, più alla portata degli obiettivi prefissati: gli appunti. Sarebbe il colmo fallire anche in quello, oltre il danno sarei costretto a subire per mesi la presa per il culo da parte di Franco. Devo per forza farmi coraggio e sporgendomi sul terrazzo tento di sdrammatizzare: «Una serataccia, eh?!»

Stefania m’incenerisce con uno sguardo tipo giocatore neozelandese degli All Blacks durante l’Haka, spegne la sigaretta e cerca di ricomporsi: «Ah già, gli appunti…vieni che te li do».

Ahi, ahi…mi accorgo che si sta dirigendo verso lo studio dove si è rintanato il suo compagno afflitto. Che faccio? La seguo o non la seguo? Dopo un attimo d’indecisione, mi convinco che in fondo siamo tutte persone adulte e anch’io entro con piglio deciso nella stanza…

Stefania, dopo una lunga ed estenuante ricerca sullo scaffale, – io ad attendere, notevolmente imbarazzato, nel gelo totale interrotto solo dai singhiozzi del moroso – si accinge a consegnarmi l’agognata dispensa. Nel momento in cui sto per afferrarla, il suo compagno, ancora pieno di gamberetti nei capelli, compie uno scatto degno del miglior Lionel Messi, le strappa di mano il prezioso fascicolo e lo getta fuori dalla finestra, accompagnando il suo insano gesto urlando a tutto spiano: «Dopo quello che è successo hai ancora il coraggio di venire qua come se niente fosse?».

Mi sporgo e vedo ancora i fogli svolazzanti sparire nel buio, e sconsolato mi chiedo: “Non è possibile…è tutto vero o sono dentro ad un film di Kusturika?”

La baruffa riprende ed è ancora più cruenta, allora decido di uscire dallo studio. Apro la porta e mi trovo di fronte tutte le persone presenti che mi fissano con  sguardo ostile e accusatorio. Con tutti ‘sti comunisti che ci sono già mi vedo alla lettura della sentenza di condanna in manette, con la testa rasata e con due guardie cinesi che mi tengono la mano sulle spalle. E mio padre che applaude. Al ché assumo un atteggiamento difensivo e, con un ardito esercizio di mimica facciale, cerco di comunicare il messaggio “Non penserete mica che sia io la causa della lite di Guido e Stefania, eh?!…”, senza riuscire, però, a essere convincente più di tanto e mi faccio largo tra commenti di disapprovazione e teste che si scuotono.

A malincuore e nonostante la mia voracità non si sia ancora placata, salto il piatto appena sfornato. Mi è venuta in mente la scena della pisciata di Michael Douglas sulla teglia del pesce cucinato da Kathleen Turner. Ho l’atroce sospetto che sempre lo stesso film possa aver ispirato la mente perversa di Stefania, per cui preferisco non indagare sugli ingredienti del paté sui crostini: ho saputo che Guido ha un cane al quale è molto affezionato e mi preoccupa non vederlo in giro.

Affogo il mio dispiacere ripiegando sui dolci, mi servo una porzione doppia di profiteroles e mi riempio il bicchiere di Malvasia. Ho raggiunto la soglia massima di sopportazione e, a dire la verità, il mio stomaco comincia a chiedere pietà e reclama a gran voce un’immersione in un vasca da bagno piena di citrosodina. Mi dirigo verso lo studio, non certo per riprendere la questione degli appunti, ma perlomeno per salutare, quando intravedo attraverso la porta socchiusa i due emuli della Guerra dei Roses sorridersi teneramente, lei in braccio a lui intento a suonare il pianoforte. E’ troppo. Forse scappare può sembrare un termine esagerato, però è esattamente quello che faccio. In dieci secondi e al ritmo unza-unza della musica di Bregovic scendo sei piani di scale a piedi e sono fuori dal palazzo con una domanda in testa: “che–cazzo-ci-faccio-in-Piazza-Solferino all’una-di-notte, -eh?”

«Ehi, c’hai una siga?» mi fa un ragazzino, giubbotto in pelle e una dozzina di piercing sul sopracciglio sinistro.

«Non fumo, se vuoi ho delle Big bubble alla frutta».

Se ne prende due, fa per andare, poi si china e raccoglie qualcosa per terra: «L’hai perso te?». E mi porge la dispensa degli appunti.

Continua…

Lascia un commento