Capitolo 23

XXIII

La signora bionda seduta nel primo banco della fila laterale si alza, fa un inchino davanti all’altare e si dirige verso il leggio.

«Dal libro di Giobbe:

Allora Giobbe si alzò e si stracciò le vesti, si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse:

“Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò.

Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!”.

In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.

Molti presenti sono qui, forse, solo per senso del dovere. Vedo alcuni guardare in continuazione l’orologio, altri sbadigliare. Uno addirittura sta armeggiando con il cellulare. Avrei voglia di salire, prendere il microfono e ricordare all’assemblea quanto fosse straordinaria la persona di cui stiamo celebrando il funerale. Ma non sarebbe il modo migliore per ricordare un uomo eccezionale ma discreto, quindi mi rassegno e mi abbandono ai miei pensieri, come mi capita quando mi trovo dentro a una chiesa e sono annoiato da una funzione scialba e contornata da lacrime di circostanza.

Devo anche dire che lo scenario barocco che mi circonda non favorisce la meditazione. Di solito, sono più a mio agio nelle chiese gotiche, sebbene un mio amico prete mi abbia fatto notare che l’architettura barocca, attraverso l’esaltazione delle curve, esprime la forma presente in quantità maggiore in natura e quindi, nonostante lo sfoggio di fregi e stucchi, rappresenta un’arte più spontanea e più umile. Le linee rette gotiche, invece, potrebbero essere interpretate come il frutto della superbia dell’uomo che vuole arrivare più in alto possibile, fino a toccare Dio.

Signore, chi abiterà nella tua tenda?

Chi dimorerà sul tuo santo monte?

Colui che cammina senza colpa,

agisce con giustizia e parla lealmente,

non dice calunnia con la lingua,

non fa danno al suo prossimo

e non lancia insulto al suo vicino.

Ogni volta che ascolto o leggo un salmo, non posso fare meno di essere toccato dalla profondità e dalla poetica di questi versi e stupirmi dal fatto che furono scritti migliaia d’anni fa da pastori di uno sperduto popolo nomade, mentre nello stesso periodo in molte civiltà considerate più colte si praticava l’idolatria. E mi fa pensare che qualcosa di grande e significativo li abbia ispirati.

Il mio rapporto con il trascendente è assai controverso. Fin da piccolo non mi tornava tanto che, a Natale, Gesù Bambino riempisse di doni quello stronzo di Paolo Valli, uno che, quando si giocava a calcio, non passava mai la palla e se glielo facevi notare se n’andava via arrabbiato portandosela via.

Crescendo, anche nei periodi di maggiore serenità, ho sempre seguito con maggiore partecipazione i riti del periodo della Quaresima, sicuramente più in sintonia con le riflessioni sulla natura umana. Anche in questo caso dissento da Franco, che ritiene la liturgia quaresimale un formulario adatto ai depressi. Preferisce il clima natalizio, che io reputo, invece, fuorviante e artificioso.

Dalla Buona Notizia secondo Giovanni:

La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia.

Devo ammettere che anche nel mio tormentato rapporto con la spiritualità è stata determinante l’influenza di Maria. Era lei la persona che tirava e ci metteva l’anima.

Era consapevole dei miei dubbi, ma insisteva perché condividessimo e portassimo avanti questo cammino. Dal punto visto personale, penso di avere fatto pochi progressi, ma posso dire che era la fede di Maria a spronarmi, in poche parole, credevo attraverso di lei.

Una delle esperienze in cui mi ha coinvolto è stata la frequentazione dei monasteri. Io cercavo di metterci molto impegno ed ero stimolato dalla sua vicinanza ma, sinceramente, non posso dire che riuscissi veramente a pregare. Tuttavia, riuscivo ad immergermi nel clima raccolto dell’abbazia, accompagnato da un pensiero ricorrente: in quel momento facevo parte di una piccola comunità che, attraverso il canto e la preghiera, si univa a tante altre sparse su tutta la terra.

Faccio ancora fatica ad accettare che ci siano uomini la cui vita si svolge per intero all’interno di un convento a lavorare e a pregare per sette volte ogni giorno. Adesso, però, non sono più convinto che la loro vita sia assurda. Ho in mente le parole di un monaco che mi ha raccontato la sua esperienza: « Non pensare che noi monaci siamo molto diversi dalla gente che vive fuori. Anche noi siamo spesso assillati dalle nostre faccende o intenti a lamentarci delle nostre miserie. Ad una certa ora, però, la campana m’invita a lasciare da parte tutte le mie occupazioni. Mi ricorda che sono un monaco. Mi ricorda che noi uomini  siamo creature simili a Dio. Gli uccelli volano, i pesci nuotano, l’uomo prega».

Noi siamo come polvere: ricordalo, Signore;

come l’erba e il fiore del campo.

L’eterno riposo donagli, o Signore,

e splenda a lui la luce perpetua.

Finita la messa, l’officiante asperge d’acqua battesimale il feretro, quindi d’incenso, per ricordare che il corpo del defunto è stato tempio dello Spirito Santo.

I quattro addetti dell’impresa funebre si dispongono a fianco della bara, la issano sulle proprie spalle e iniziano lentamente a camminare nella corsia della navata centrale, seguiti dalla vedova e dai familiari più stretti. Il corteo scorre e la gente rimasta tra i banchi si fa il segno della croce.

Buon viaggio, vecchio prof.

Continua…

Lascia un commento